VICO EQUENSE (NA) - «Io sono nato in Puglia, e da meridionale ho sempre visto Napoli come la capitale del Regno. Napoli è tradizione, è storia, è lingua scritta. Dove non esiste una lingua scritta, non esiste una storia. Per me, da bambino, Napoli era un faro: la guardavo con rispetto assoluto. Amavo tutto ciò che la riguardava, dalla lingua alla musica. Quando a casa mia sono arrivati i dischi di Pino Daniele, è stata un’epifania. Mi sembrava che ci avesse messo le mani Dio. Poi è arrivato il teatro, e la storia dei De Filippo. Mi ha conquistato l’idea di raccontarli non nella loro monumentalità, ma nella loro vitalità, nella loro freschezza. Una famiglia “di serie B” che ha superato il padre naturale, Scarpetta, rivoluzionando il teatro». A dichiararlo è stato Sergio Rubini che al Social World Film Festival ha ricevuto il Golden Spike per celebrare i suoi 40 di carriera tra cinema, teatro e serie tv. Proprio con la serie “Leopardi – Il poeta dell’infinito”, Rubini ha vinto il premio Flaiano per la miglior regia. La notizia è arrivata nel corso della giornata in suo onore al festival del cinema sociale. Nel corso della giornata l’attore pugliese ha tenuto una masterclass al cinema Aequa con i giovani studenti del festival, dove ha raccontato dei suoi inizi e del rapporto con il padre, che l’ha “spinto” a diventare attore: «Sognavo di suonare in una rock band, mi ero tinto i capelli per assomigliare a David Bowie. Poi ho visto un mio coetaneo suonare le tastiere meglio di me, i miei amici volevano sostituirmi. Ero disperato. Fu mio padre a salvarmi, proponendomi di recitare nella sua compagnia. Accettai solo per orgoglio, per non darla vinta a nessuno. Ma da lì è partito tutto. Ho avuto un rapporto conflittuale con lui. Era un uomo che avrebbe voluto fare l’artista e invece lavorava come capostazione. Da giovane lo consideravo fragile, e per questo mi faceva soffrire. I figli vogliono genitori forti. Ma col tempo ho capito: per vivere una vita che non ami e riuscire comunque a coltivare le proprie passioni, serve una forza enorme. Sono profondamente innamorato di mio padre, proprio per quelle debolezze che un tempo mi destabilizzavano”. Al padre di Rubini è dedicato il suo primo film da regista “La stazione”, girato a San Marco in Lamis. Sergio Rubini nel corso della giornata ha anche raccontato diversi aneddoti su Federico Fellini: «Mi presentai con delle foto scattate dal mio professore di matematica. Fellini le guardò e disse: “Lei somiglia alle sue foto”. Pensavo mi stesse prendendo in giro, ma capii poi quanto fosse profondo quel pensiero. Oggi modifichiamo tutto coi filtri, ma se somigli alle tue foto, significa che hai accettato i tuoi difetti. E nei difetti c’è il tuo stile. Non avere stile significa non avere difetti. È nei nostri difetti che ci distinguiamo». Rubini ha poi inciso, durante la serata in suo onore in Arena Fellini, la sua firma in argilla che verrà fusa in bronzo e aggiunta al monumento al cinema, il Wall of Fame, in piazzale Siani, dove campeggiano già i nomi dei grandi ospiti del passato come Giancarlo Giannini, Claudia Cardinale, Luis Bacalov, Franco Nero, Matteo Garrone e tanti altri. Prima di congedarsi, Rubini dal palco regala un consiglio a tutti i presenti: «Imparate a fallire. E cercate di somigliare il più possibile alle vostre foto».
Sergio Rubini al Social World Film Festival: «Da bambino Napoli era un faro per me
Data pubblicazione: 27-06-2025
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